Noi prima dei figli.

“Una volta una persona saggia mi ha detto che scrivere è pericoloso, perché non sempre si ha la garanzia che le tue parole saranno lette nello stesso spirito con cui sono state scritte.”
Jojo Moyes

 

Ho terminato, poco tempo fa, la lettura del bellissimo capolavoro di Jojo Moyes, Io prima di te, la romantica e struggente storia d’amore di due persone, che prima di incontrarsi avevano un avvenire diverso e, di sicuro, quello di uno è cambiato più radicalmente dell’altro dopo il loro incontro.
Ma non voglio anticipare niente nel caso qualcuno non l’avesse ancora letto.
E proprio qualche giorno fa, mentre mettevo a posto il mio vecchio pc, ho spulciato tra i documenti, e ho ritrovato qualcosa che avevo scritto prima di avere i miei figli, prima di diventare la persona che sono adesso, e l’analogia con il romanzo mi è sembrata palese. 
Non nego che rileggendomi ho provato un pò di tenerezza per quella ragazza che scriveva d’amore e dei suoi sogni. 
Non mi riconosco molto in lei in questo momento. Ed è strano, perché quelle parole le ho scritte io.
Mi sono resa conto di quanto si sia trasformata la mia vita. 
La differenza può sembrare impercettibile agli occhi degli altri, ma in realtà è come se mi guardassi allo specchio e vedessi un’altra persona. 
Quando è successo tutto questo? No, la risposta non è non lo so. 
So benissimo quando è avvenuto questo cambiamento, e me lo sento addosso come quel giorno.
La sera del 13 Febbraio 2014 sono entrata all’Ospedale Maggiore di Parma, piegata in due dalle contrazioni. Ancora non sapevo che il mio corpo ha fretta di far uscire i miei figli, e che i miei travagli sarebbero durati pochissimo, fatto sta che tra una contrazione e l’altra, nel corridoio della degenza, quasi ridevo, ignara di ciò che mi aspettava. 
Due giorni dopo mio marito è venuto a prendermi con la navicella per riportarci a casa. Ricordo ancora i miei gesti meticolosi e lenti mentre sistemavo le lenzuola per Edoardo. Percepivo tutto in maniera ovattata, ma la realtà intorno era allo stesso tempo nitida. Ogni dettaglio si imprimeva per sempre nella mia memoria. 
Avevo il terrore di uscire da quella stanza, perché sapevo che fuori da lì mi sarei sentita esposta ad una responsabilità più grande di me. Ed è stato quello il momento in cui ho sentito la differenza tra la me di prima e quella di adesso. 
E la cosa peggiore è stata che quel divario io l’ho sentito anche tra me e mio marito. E’ stato come se in quel reparto fossero entrate due persone, ma delle due una ne è uscita allo stesso modo e l’altra è stata sostituita. 
Questa metamorfosi era dovuta alla sensazione di enorme obbligo che avvertivo per quel piccolo esserino che mi avevano messo tra le braccia. Come se al mondo, insieme a lui, fosse venuta anche una zavorra di oneri, che era tutta per me. 
Il papi ha impiegato mesi per entrare nel suo ruolo, ma solo molto tempo dopo ho capito quanto per un uomo sia difficile occupare questa posizione. 
In quel momento riuscivo a vedere solo l’abisso che ci separava. 
E’ stato difficile ricostruire il nostro rapporto, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Lui ha capito cosa vuol dire essere padre. 
Io ho capito lui, o almeno ancora ci provo.
L’arrivo di Alessandro non è stato da meno. Anche questa volta sono saltati nuovamente i nostri equilibri, e stavolta li stiamo ricostruendo addirittura in quattro, non più in tre. 
E’ complicato, ma so che il risultato vale la fatica. 
E non dico che questo cambiamento sia stato negativo. Assolutamente no. Essere consapevoli di se stessi è uno dei più grandi doni che si possa ricevere. Solo che è più arduo e pesante rispetto alla leggerezza di due giovani ignari del domani.
Ma quando è proprio tutto nero, ripenso a quei due ragazzi innamorati e inconsapevoli, in una stanza da letto al mare, e mi commuovo, perché ancora non avevano idea di ciò che sarebbe successo dopo. E perché in fondo quei ragazzi sono ancora dentro di noi. Sono solo un pò stanchi e corrosi dagli eventi. 
Allora vi regalo un frammento di quello che eravamo prima di diventare genitori. 
Noi prima dei figli.
“Ti osservo disteso sul nostro copriletto viola, nella nostra camera da letto al mare, che abbiamo fatto dipingere di rosa, perché fosse più intima e accogliente. 
Perché almeno qui, in questo paradiso costruito per noi da un Dio che ancora non conosciamo, potessimo sentirci al sicuro in un silenzio e in una pace che appartiene solo a noi. 
E tu sei lì, perfetto come volevo che fossi, come si sogna il principe azzurro quando sei bambina. 
Sei solo meglio dei miei sogni perché sei reale. Posso toccarti, baciarti, tenerti stretto. Posso amarti e sentire che sei vivo, che siamo vivi, e che abbiamo un’esistenza intera davanti. 
In questa camera rosa, con le candele viola e il mio porta trucchi viola appoggiati sul comò, possiamo sconfiggere la morte. 
Qui dentro non c’è niente che possa toccarci, e i nostri sogni hanno un senso, possono ancora essere realizzati. 
E ti guardo dormire e sognare. La tua schiena è appena abbronzata da quel sole che non riesci a prendere mai abbastanza. In questo momento vorrei darti un pò del mio colore, che prendo senza volerlo, che si attacca alla mia pelle come hai fatto tu, che al contrario non vai mai via.
Appoggiata allo stipite della porta vorrei chiederti se vuoi la pesca che sto sbucciando, ma non voglio svegliarti, tanto mi risponderesti di no, ma almeno potrei godere della tua voce. 
Invece preferisco accontentarmi del silenzio del tuo respiro. 
E rimiro la tua testa appoggiata sul cuscino su cui sono disegnate le viole, che fanno pendant con il copriletto, le candele, il porta trucchi e i fiori finti rosa e viola nel vaso di vetro.
Poi torno al tavolo della cucina a scrivere di te, di quanto le parole non esprimeranno mai la potenza del sentimento che provo. 
Solo allora ti svegli, e sento che lentamente ti trascini giù dal letto, infili gli infradito che ti ho regalato, e che non sopporti, ma che continui a portare solo perché mi ami. 
Arrivi vicino a me, mi chiedi che cosa sto facendo, ed io riesco solo a risponderti che mi hai ispirato. 
Per questo ricevo un bacio.”

 

 

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