Volete l’amara verità?
La verità è che le buste della spesa sono troppo pesanti se devi spingere una carrozzina con un neonato urlante di fame. E poi i punti tirano ancora tanto dopo il parto, ma tuo marito è dovuto rientrare al lavoro presto, e qualcosa bisogna pur comprare per sopravvivere. Almeno gli assorbenti post parto e i pannolini.
Quando finalmente arrivi a casa, magari ti scappa anche la cacca. Sì, ho scritto cacca. Quella che dobbiamo fare tutti, anche questa per sopravvivere.
E se hai una lacerazione di secondo grado (che interessa sia pelle che muscoli, e questi ultimi, per chi non ne fosse a conoscenza, si trovano proprio vicino allo sfintere), riuscire ad espletare i propri bisogni richiede concentrazione, calma e tempo, oltre che una certa resistenza al dolore.
Ma il neonato di prima continua a piangere per la fame, in maniera così disperata che ti strazia il cuore. Allora lo prendi, lo porti in bagno e ti siedi sul water mentre lo allatti. A voi sembrerà un’ immagine disgustosa, ma se non ti liberi in quel momento, rischi che la volta successiva sia ancora più difficoltoso, specialmente se sono uscite anche le emorroidi. E visto che sei tornata a casa da poco, non solo è indolenzito il pavimento pelvico, ma mentre il neonato succhia dal seno stimola le contrazioni all’utero, che nei primi tempi ti fanno un male cane.
Non è finita qui. Hai sonno, perché non dormi bene da giorni. E non continuerai a farlo ancora per mesi, ma la casa deve pur essere gestita un minimo. Poi ci sono le lavatrici e i body di tuo figlio da smacchiare. Perché un neonato, quando fa la sua di cacca, molto probabilmente gli arriverà fino alla schiena.
E sei stanca! Così stanca che avresti solo bisogno di qualcuno che si occupi per un paio di ore di tu* figli* per dormire e recuperare un pò, ma se sei sola come me, senza parenti nel raggio di 1000 km, allora dovrai rinunciare al sonno, e continuerai a sentir piangere, piangere e piangere.
Se sei al primo figlio, forse puoi andare a dormire insieme a lui.
Ma già dal secondo in poi, se sono vicini di età, diventa molto più difficile, se non impossibile.
Così ti trascini attraverso le giornate, come se non fossi neanche sulla terra, ma avvolta da una nuvola grigia fatta di confusione, sonno ed esaurimento nervoso.
E se quella nuvola non viene soffiata via da un vento leggero di freschezza e sollievo, può virare fino al nero e chiamarsi DEPRESSIONE!
Nella nostra società le mamme vengono lasciate sole in un periodo drammaticamente complicato della loro nascita. Sì, perché anche le mamme nascono insieme ai figli. E proprio come i loro pargoli, sono meritevoli di cure. Anzi, bisognose di attenzioni speciali che possano consentire loro di gestire al meglio quelle nuove creature di cui hanno una responsabilità enorme.
Per sopperire e supportare le mamme in questo particolare momento, c’è una figura, non medica, ma assistenziale, purtroppo ancora sconosciuta a molti, ma che a mio avviso lo Stato stesso dovrebbe mettere a disposizione di ogni partoriente, prima e dopo il parto: la Doula.
Di tutto ciò di cui si occupa questa esperta, ve ne parlerà nell’intervista che segue Francesca Palazzetti, conosciuta sui social come @mammafrau.
Francesca, mamma di tre bambini, che oltre ad essere una doula, è anche referente Babybrains, collabora attivamente al mio progetto #unaparolaperlemamme.
Se la guardi su Instagram, in un primo momento, hai l’impressione che sia una modella o un’attrice. Bella. Elegante nei modi. Un’affascinante voce di donna con toni misurati e coincisi.
Invece il suo mestiere è ancor più nobile e delicato: accompagna le mamme dalla gravidanza al post-partum restando sempre una spettatrice discreta della famiglia in divenire.
Francesca si dedica tantissimo al suo lavoro, comunicando messaggi precisi e usando i social in modo utile e importante, oltre a impegnarsi per fare in modo che le puerpere possano sentirsi incoraggiate e accudite.
Così, in poco tempo, ai miei occhi, l’aspetto da modella ha lasciato posto a una donna sensibile, piena di tatto, contenuti e dolcezza. Da qui è nata l’idea di questa intervista, perché diffondere la possibilità di benessere psicofisico dovrebbe essere alla base di ogni società.
Visto che non sempre è così, soprattutto in Italia, almeno noi ci impegnano a farlo.
Ciao Francesca. Grazie per essere intervenuta nel mio spazio.
Veniamo a noi.
D: Come è nato il tuo interesse per questo mestiere?
R: Ho scoperto l’esistenza della figura della doula quando mancavano pochi giorni al parto della mia seconda figlia . Dopo la nascita del primo mi ero sentita attraversata da così tanti cambiamenti, così intensi, che andavano in direzioni completamente diverse: felicità, gratitudine, perfino onnipotenza, ma anche paura, insicurezza, fatica. La rimodulazione dei tempi e degli spazi, nuovi bisogni, rispetto ai quali mi sono sentita veramente accolta da poche persone, sebbene quelle siano state preziosissime. Avevo sperimentato quanto cercare informazioni fosse importante, grazie a fortunati incontri avevo imparato quanto crearsi una rete fosse utile, avevo potuto trovare un’ostetrica che è stata il mio punto di riferimento ed un pediatra sensibile ed inclusivo. Ma restava la sensazione di essere stata fortunata, confermata anche dal fatto che venivo contattata da altre madri che conoscendo la mia storia cercavano consigli, e a me il “dare consigli” non sembrava un’ottima idea (e soprattutto ovviamente non funzionava). Un “consiglio” secondo il Vocabolario Treccani è un “Suggerimento che si dà a una persona per risolvere i suoi dubbî o per esortarla a fare o non fare una cosa, generalmente con intento di procurare il suo bene”…io non mi sentivo a mio agio con l’esortazione, e loro ricevevano una visione mediata solo dalla mia personale esperienza. Funzionava piuttosto reindirizzarle ad altri professionisti che potessero aiutarle, perché ho un buon intuito sulle affinità reciproche. Restava fortissimo lo “stare insieme”, quell’ascolto e quella presenza che può cambiare le giornate quando non ti senti riconosciuta e accolta per quello che provi. Un giorno tutto questo ha preso forma in una parola, in un nome. Ho scoperto che esisteva una formazione, per la prima volta a Roma di lì a pochi mesi, e mi è sembrato che tutto avesse un senso.
Cosa fa in pratica una Doula quando arriva nella casa di una donna che ha appena partorito? E su quale lato psicologico va ad incidere?
R: Le case quando arrivano i neonati parlano, raccontano. Si osserva, e si ascolta ciò che hanno da dire. Il lavoro della doula è attivare tutti i sensi, insieme fare una carezza alla madre, incoraggiarla e rassicurarla in quel compito così importante che sta portando avanti, e soprattutto aiutarla a sintonizzarsi sui suoi bisogni. Per conoscere quel bambino e ri-conoscersi nella diade la mamma ha bisogno di spazio e tempo per ascoltare le sue priorità, anche quelle inattese, le nuove e le vecchie parti di sé che affiorano ed anche le emozioni che le accompagnano. Creare questo ambiente protetto in alcuni casi significherà cucinare pasti, facili da consumare, in altri occuparsi del bucato, in altri offrire braccia che accolgano il neonato mentre la madre si prende un momento per sé od occuparsi anche di altri fratellini o sorelline; magari restare per la notte, organizzare piccoli momenti di condivisione anche con altre mamme, trovare insieme il modo di organizzare gli aiuti esterni se presenti nel modo migliore per quella famiglia. La doula sta con quel che c’è, non lascia la madre sentirsi sola in ciò che sta provando. E quando ci sono bisogni più specifici, che richiedono figure specializzate le si trova insieme, creando la propria rete di sostegno, si costruisce quel villaggio di cui si sente parlare ma che deve diventare concretezza.
D: Cosa dovrebbe sapere una mamma prima di partorire?
R: Che ha il diritto di non restare sola, di ricevere le informazioni corrette con le quali fare le proprie scelte che hanno diritto ad essere sostenute. Che non tutti sanno tutto, che sia lei che il suo bambino sono competenti, che le sue sensazioni sono significative e che è sempre possibile fare domande, cercare risposte, e cercarne ancora. Dovrebbe sapere, o meglio dovremmo noi (società tutta) riuscire a trasmetterle con fiducia, che costruire il proprio villaggio è possibile.
D: La Dolua può essere utile anche a chi figli non ne ha, ma vorrebbe averne?
R: Sono stata più volte contattata da donne senza figli, a volte per incontri di condivisione tra ragazze giovani distanti dal desiderio di maternità ma curiose rispetto all’accoglienza di tanti cambiamenti, altre volte per ascoltare, altre per informazioni sul territorio, sulle possibilità. Le storie e i vissuti possono essere molti e diversi per ciascuna di noi…è possibile che ci sia semplicemente bisogno di confrontarsi, così come che si sia alla ricerca di una figura specifica di accompagnamento, e si può capire insieme quale, ad esempio un’ostetrica, o un sostegno psicologico.
D: Che cos’è il Babybrains? E come possono avvicinarsi i genitori ad esso?
R: Babybrains è un’espressione con cui gli anglofoni prendono un po’ in giro i cali di attenzione e di memoria che sono spesso comuni nelle donne in gravidanza. Che sono in realtà espressione di adattamenti e modificazioni del cervello che si evolve per affinarsi sulla visione di insieme e sulla capacità di interpretare gli stati d’animo degli altri…è insieme un programma di educazione genitoriale, un laboratorio sulle neuroscienze, un corso interattivo nel quale imparare come osservare i propri bambini ed accompagnarli al meglio nel loro sviluppo e nell’espressione di tutto il loro potenziale.
Frutto del lavoro di una neuroscienziata mamma di tre bambini che ha tradotto in un linguaggio semplice e fruibile studi scientifici sul funzionamento della mente dei bambini dal concepimento fino ai 4 anni di età, Babybrains è stato approvato dal Prof. Mark Johnson, Direttore della facoltà di Psicologia dell’Università di Cambridge, e fornisce ai genitori gli strumenti per essere positivi e partecipi alla crescita dei loro figli.
Soprattutto non è un metodo, ma un approccio anche pratico che con le corrette informazioni ti permette di capire come funziona la mente dei bambini e cosa puoi fare per crescere insieme a loro in modo divertente. Il genitore si sentirà rafforzato nelle proprie competenze nell’interpretazione dei bisogni dei bambini e questi si sentiranno più sicuri perché vedranno quei bisogni soddisfatti: si costruisce una relazione sicura, quindi famiglie più felici. Per questo me ne sono innamorata. JCi sono Referenti Certificate Il Parto Positivo – Babybrains®sul territorio, i genitori possono cercarle e trovare i laboratori più vicini a loro, in qualche caso organizzando gruppi è possibile che ci si sposti, stiamo cercando di coprire tutte le regioni.
D: Quanto incidono i nostri tempi frenetici sulla psiche di un neonato?
R: Il tempo che abitiamo ha ritmi molto veloci e sostenuti, frenetici in primis per gli adulti. La gravidanza riconduce a tempi lenti, che sono anche quelli dei neonati e dei bambini. Lo scarto tra le velocità può essere molto complesso da affrontare, io trovo che sia un argomento importante da trattare durante l’attesa, anche prima della gravidanza se possibile. Siamo così abituati alla velocità che gestire una rimodulazione del tempo può mandarci in crisi, ed è allora che comprendiamo la portata del problema. La madre e il bambino hanno in realtà la possibilità di sincronizzare i ritmi sin dalla gestazione, quello che è importante è riconoscere l’importanza di proteggere questa sintonia anche e soprattutto i primi tempi dopo la nascita, e informarne anche l’altro genitore in modo che partecipi attivamente al processo. Tornando a Babybrains, studi sull’apprendimento nella primissima infanzia dimostrano quanto siano importanti la profondità di elaborazione delle informazioni, l’esperienza diretta, la ripetizione, l’esercizio…tutte procedure che hanno bisogno di tempo. Ecco che lavorare (noi) su quelli che sono diventati i nostri ritmi acquisiti per riportarli a un livello “pulito” per i bambini diventa molto importante.
D: Infine, secondo te, cosa potrebbero fare le Istituzioni per dare maggiore sostegno alle mamme?
R: Crescere bambini dovrebbe essere riconosciuto come un ruolo importantissimo, decisivo per la società stessa, meritevole di protezione e sostegno continuativi, integrati, efficienti. Uno Stato intelligente dovrebbe fare in modo che le famiglie tutte si sentano accolte e sostenute da una rete di servizi garantiti e di qualità, e promuovere la coscienza collettiva in questa direzione. I nostri servizi sono buoni, ma dovrebbero essere enormemente potenziati, curati, monitorati con un’attenzione maggiore che passa anche dalla cultura e dal riconoscimento del loro valore. C’è una pubblicazione del 1951 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “Cure materne e salute mentale del bambino” in cui lo psicologo e medico psicanalista John Bowbly, padre della teoria dell’attaccamento, scriveva:
“Come i bambini dipendono completamente dai propri genitori per la loro sussistenza, così, in tutte le società, i genitori, soprattutto le madri, dipendono dalle società. Se una società si interessa ai propri bambini, deve prendersi cura anche dei propri genitori.”
Così sarebbe necessaria una vera rete tra professionisti aggiornati e organizzati sul territorio in modo capillare e stabile, piuttosto che l’erogazione di bonus una tantum. Teniamo ben presente che a monte dei servizi e del loro funzionamento ci sono scelte politiche, che come cittadini possiamo indirizzare, informandoci, partecipando, con il riconoscimento dei nostri diritti e lo strumento del voto.
Ti ringrazio, Francesca!
E come direbbe lei: #perprendersiCurabisognariceverne
A presto!