Elena Rebecca Odelli, la forza di una sogno.

Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso.

Nelson Mandela

 

Ognuno di noi, da bambino, ha avuto dei sogni più o meno ambiziosi.

C’è chi immaginava di diventare uno scienziato, chi ingegnere, attore o astronauta.

Oppure ancora chi sperava di avere un ristorante tutto suo, di fare il professore di letteratura o di viaggiare in giro per il mondo.

I sogni, si sa, non sempre si realizzano. Alla base è necessario talento, perseveranza e una buona dose di fortunate coincidenze.

La passione, spesso, però, ha la meglio. 

Il desiderio di Elena Rebecca Odelli (che già il nome aveva una strada segnata) era di sicuro quello di diventare una scrittrice.

Chi ha questa aspirazione vive di carta e parole da sempre. Resta a spulciare tra gli scaffali delle librerie per ore. Annusa il profumo dei testi appena stampati. Varca la soglia di un negozio di libri e spera di vedere, un giorno, tra i titoli che più ama, il suo nome stampato sulla copertina di un romanzo (ne so qualcosa).

Lei ce l’ha messa davvero tutta per arrivare al traguardo. Ha affrontato due gravidanze e ha scritto recensioni e interviste di interminabili concerti, prima di raggiungere il suo scopo.

Nel frattempo, lungo la strada della vita, è arrivata l’ispirazione per il sogno nel cassetto. Quello che conservi più nel cuore che nella scrivania.

E così, la pubblicazione tanto attesa sta finalmente arrivando.

Il 31 Ottobre esce Il buio intorno, il suo primo romanzo.

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Dopo averla conosciuta su Instagram, mi sono appassionata a questi occhi grandi e scuri posati su un corpo esile ed elegante, ma con una forza tanto grande da spaccare il mondo.

E nell’attesa di leggere il suo romanzo, ho chiesto a Elena di raccontarci qualcosa in più di lei e delle sue ambizioni da bambina, per conoscerci meglio e comprendere quanta tenacia sia necessaria per far avverare un sogno.

Ciao Elena. Ti ringrazio per avermi concesso questa intervista. E complimenti per il tuo primo romanzo di prossima uscita.

D: Quando è iniziata la tua passione per la scrittura? Diventare una scrittrice è sempre stato il tuo sogno?

R: Diciamo che mi è sempre piaciuto scrivere. Sin dalle elementari mi cimentavo in racconti, più che temi. Mi inventavo storie, avventure fantastiche. Volevo diventare una scrittrice, lo scrivevo fitto sul mio diario e penso che fondamentale sia stata la mia insegnante di italiano, la maestra Matonti, che mi ha sempre spronata a dare il massimo, a leggere tanto, a coltivare la mia passione. 

 

D: Descrivici Elena Rebecca da bambina.

R: Ero una bambina curiosa, mi piaceva studiare, giocare a pallavolo. Ho una sorella, Sara, di due anni più piccola di me, da piccole eravamo due pesti insieme, litigavamo per inezie, però guai se una delle due veniva rimproverata. Abbiamo condiviso tutto insieme.  Fino alla quarta elementare avevo solo due o tre amichette. Quando ci siamo trasferiti da Lodi, a un paesino poco distante, le cose sono andate in discesa. Vivere in un paese allora, voleva dire uscire di casa, andare all’oratorio, essere relativamente libere. Abbiamo imparato cosa voglia davvero dire la parola fiducia. Avevamo il coprifuoco e se sgarravi, non uscivi. Ringrazio i miei genitori per vermi insegnato il potere della libertà e il valore del rispetto. 

 

D: Quando hai iniziato a lavorare come giornalista di musica?

R: Ho iniziato intorno ai diciott’anni. Facevo delle interviste per un quotidiano locale ai cantanti che venivano ad esibirsi a Lodi, in estate. Poi per un periodo ho lasciato la scrittura, per lavorare dietro ai palchi. Ho collaborato per un’agenzia di musica live a Modena, all’epoca frequentavo l’università a Pavia e ricordo ancora i viaggi in A1 per arrivare a dare la mattina seguente l’esame. Al secondo anno, quindi, ho iniziato a lavorare come promoter radio per un’agenzia milanese, infine dopo questi voli pindarici sono tornata a scrivere di musica. Il percorso che ho fatto mi ha insegnato tanto, molto. Mi ha anche aiutato a conoscere realtà diverse rispetto a quelle che venivano trasmesse in radio all’epoca. 

 

D: Come è arrivata l’idea del romanzo Il buio intorno?

R: Il romanzo è tratto da una storia vera. I nomi sono di assoluta fantasia. La storia di “Sofia”. L’idea quindi è partita da lei, è diventato libro quando, dopo aver letto l’ennesimo episodio di cronaca rosa, ho iniziato a digitare parole. Ovviamente la stesura, all’inizio si è scontrata con tutte le mie insicurezze. Scrivere un libro vuol dire comunque mostrare qualcosa di sé, anche se la storia narrata non è la tua. La musica ha sempre avuto quasi una funzione medicale nella mia vita Quando i La Rua pubblicarono Per Motivi Di Insicurezza, le parole sono arrivate da sole. Le parole di Incicco sono state la spinta giusta. Oltre a questo penso che sia vero che un figlio ti smuove la coscienza, mio figlio Samuel sicuramente. Ho iniziato a scriverlo nell’ottica di dire un giorno forse leggendo capirai cosa voglia dire esser davvero un uomo. Quando è arrivata Sveva Daniela, ho capito che sarebbe servito un domani anche a lei, per non cadere in situazioni deleterie. 

Nella società contemporanea siamo quasi abitati a sentire, a vedere mistificare le donne. La violenza psicologica a cui talvolta siamo sottoposte è deleteria tanto quanto uno schiaffo. Non ci sono giustificazioni per alcun tipo di maltrattamento e credo anche che si debba rispettare il dolore e la storia di ognuno. Spero di averlo fatto anche io nel mio piccolo. La vittima spesso è portata a giustificare la sua accusa, provare e comprovare. Quando ho letto le statistiche Istat, sono rimasta basita e schifata allo stesso tempo.

Tengo a sottolineare anche che devo molto a Silvia Gianatti, la prima che lo ha letto in forma embrionale e mi ha spronata oltre misura a migliorarlo, farlo diventare libro. E’ stata lei a indicarmi Fanucci, il mio editore, che ringrazio per aver creduto in me. In realtà ci sono molte persone a cui sono grata: il mio compagno per avermi spronata, la mia famiglia per aver creduto in me, le mie amiche, Valentina che ha preso a cuore il mio manoscritto.

 

D: Quanto di te troveremo in questa storia?

R: Ci sono echi di esperienze passate. Sicuramente la perdita di mia zia è un evento che mi ha segnata. Poi la mia adolescenza. A sedici anni ho davvero espresso la volontà di andare in vacanza da sola, con mia sorella. Mio padre mi disse “ok, se vuoi andare ti paghi le vacanze”. Andammo a lavorare in un bar di Lodi, mia sorella ed io, e a settembre partimmo per la nostra vacanza all’isola d’Elba. Lo scoglio è la mia seconda casa. Ho fatto la mia adolescenza lì. Mettere uno scorcio di Capoliveri, delle sue spiagge, della sua gente è stata una mia forma di gratitudine verso un’isola che si è sempre donata senza riserve. E’ vero che se entri nel cuore degli isolani, questi farebbero di tutto per aiutarti. 

Ci sono gli insegnamenti dei miei genitori, la complicità tra le donne, il valore delle donne. 

 

D: Su Instagram ho avuto modo di vedere che stai già scrivendo un altro romanzo. Come fai a conciliare vita familiare e lavoro, considerato che hai due bambini molto piccoli?

R: Sto scrivendo un’altra storia. Un racconto legato all’adolescenza. Conciliare è una parola difficile. Diciamo che ho scritto Il buio intorno in treno, in metropolitana, quando loro dormivano. Il secondo è nato questa estate, essendo in maternità mi è stato più semplice ritagliarmi degli spazi. Scrivere è sempre stata un’urgenza, quando ho un’idea, un’immagine, un concetto, devo imprimerlo immediatamente che sia nota sul telefono o messaggio email che inoltro a me stessa.

 

D: Se dovessi dare ai tuoi figli un consiglio sulle scelte lavorative future, cosa diresti loro?

R: Direi loro di scegliere la propria strada, ciò che li rende felici. Confucio disse “Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno nella tua vita”. Ai miei genitori devo tre principi fondamentali che cerco di trasmettere costantemente ai miei figli: 

La libertà di scegliere, sbagliare, cadere e rialzarsi. Il secondo è il valore del rispetto e non per ultimo l’indipendenza. A sedici anni lavoravo d’estate per pagarmi le vacanze, i vestiti, era una questione di responsabilità verso me stessa ma anche verso loro, il patto tacito erano i voti. Non mi importa cosa vorranno fare da grandi, la cosa che mi auguro è solo la loro libertà, felicità e indipendenza che ne deriva.

 

 

Non mi resta che ringraziare ancora Elena Rebecca e farle un grande in bocca lupo per il suo romanzo. Sarò la prima a leggerlo, dopo Silvia Gianatti, ovviamente.

Prendiamo esempio dalla sua perseveranza, e apriamo cassetti e cuori chiusi troppo a lungo.

A presto!

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