Il diritto alla non gratitudine

Ogni sera, prima di sedere a cena con la mia famiglia, mi sento come Didone che avanza verso la pira. So già che appena toccata la sedia partiranno una serie di richieste a raffica per le quali dovrò alzarmi almeno cinque o sei volte prima di afferrare la forchetta, e dopo il primo boccone ce ne saranno almeno un paio ancora da esaudire.
Poi, quasi sicuramente, uno dei miei figli inizierà a dire che il piatto che ho preparato non è quello che voleva (premetto che siamo in cinque e cucino quattro/cinque piatti differenti tutte le sere). E mentre vedo che il suddetto figlio gioca con il cibo nel piatto, inizio a pensare che sono fortunata, perché in fondo i miei figli sono sani, ho un tetto sopra la testa, posso respirare e… CHE CAXXO! NON CE LA POSSO FARE.
Ma quale gratitudine. La schiena è a pezzi. Mi sveglio ogni mattina con dei dolori indicibili. E mentre preparo colazioni, zaini e altro, nessuno vuole alzarsi, e quando finalmente lo fanno, c’è sempre una lamentela per qualcosa: quella maglia no; i calzini no; quel pantalone non mi piace; a scuola non vado; perché tu non vai a scuola e io sì? (pensa che ci sono andata così tanto che sono stata così intelligente da fare non uno, ma tre figli. Forse è meglio se non ci vai a scuola. Non dico così. Tranquilli). E si continua con queste lamentele fino in auto. Spegni la radio. Accendi la radio. Alza la radio al massimo! Scalzi ballare è un classico.
Ancora un po’ di Mamma, ma a scuola devo proprio andarci? Sì, se non vuoi farti prendere in giro. Non in giro nel senso che ridono di te, in giro, insomma… se non ricevi un’istruzione potrebbero ingannarti facilmente… A SCUOLA DEVI ANDARCI PUNTO.
E dopo le ore di reclusione dei bimbi in gabbia sociale, li riprendo sorridente, perché in fondo quei dolci e adorabili cuccioli mi sono mancati tantissimo. E ad accogliermi cosa mi aspetta?
Andiamo al parco, tesoro? No, non ci vengo. Se mi porti al parco dico CAXXO davanti ai miei fratelli: CAXXO CAXXO CAXXO. Tutto questo urlando per strada.
Dopo un profondo respiro e un’INCISIVA minaccia di divieto di ogni dispositivo elettronico, il figlio in questione che, invece di andare a cibo, si nutre di onde elettromagnetiche, cede immediatamente, e il parco, con tutti gli altri amici di scuola ci attende.
Al rientro a casa, se non ho sedato una lite al parco, dove li ho opportunamente sfamati, neanche fossero rimasti digiuni per tutto il giorno, inizia la fase catatonica sul divano, spesso con conclusione di lotta tra i maschi e tiro dei capelli della sorella.
E poi c’è la cena che si ripete come sopra.
Ora voi penserete che sono esagerata o che potrei usare più Montessori e meno YouTube. E non vi do torto. E so anche che sono fortunata ad averli dei figli. Sono quelli che volevo. Sono come li volevo, nonostante tutto. Nonostante le difficoltà di percorso, io vorrei loro tre e solo loro tre.
Ma essere madre è sfibrante in un modo che non si può descrivere. Ti consuma giorno per giorno. La stanchezza si stratifica così tanto che non resta niente di tutto l’entusiasmo che accompagna la nascita di un figlio. In poco tempo senti di essere diventata un sacco da box, una serva, una cuoca (pessima tra le altre cose), un distributore di merendine e dolci vari. Ma la mamma, quella è sommersa da ruoli che sostiene come un giocoliere. Ed essere grati della vita che abbiamo scelto, diventa davvero difficile.
Se ho capito qualcosa da tutta la mia terapia, è che per quanto io apprezzi la vita, l’aria, i raggi del sole, l’azzurro del cielo, il profumo dei miei figli, i loro visi stropicciati al mattino, le loro coccole e il loro affetto (perché di sicuro vedo anche quello), io ho il diritto di non essere grata, di non apprezzare di essere trattata come una domestica o come un contenitore della spazzatura emotiva e materiale. Ho il diritto di non provare gioia quando non riesco a gestire la rabbia dei miei figli. Essere mamma non è sempre bello, e allora non dobbiamo essere sempre innamorate di questo ruolo.
Ma amarci noi un po’ di più, anche quando non apprezziamo ciò che da tutti è considerato per forza magnifico, quello sì che doveroso… sempre.

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