Gli altri non sanno

Viareggio, luglio 2019

La pelle flaccida della mia pancia si riversa sulla piega che si è formata dopo l’ultima gravidanza. La vedo lì, sopra il pube, ogni volta che mi capita di piegarmi davanti a uno specchio. Mi disturba fino a un certo punto, perché in fondo mi ricorda quanta vita mi ha attraversato in così poco tempo. Non è gradevole ciò che vedo, ma forse non mi importa più di tanto, o almeno non come prima di avere i bambini.
In questi giorni non va bene. Mi chiedo se siano i farmaci a non funzionare o se sia il ciclo in ritardo a rendermi così nervosa e triste.
Mentre sono bagno, e tolgo il costume intero che usavo per i miei corsi preparto in piscina, l’unico che ancora mi entra, sento le urla dei bambini che provengono dal salotto e, in contemporanea, l’esasperazione di mio marito e mia madre che cercano di gestirli mentre organizzano il pranzo. Entro in doccia, nella speranza che, in quei due minuti che mi sto concedendo per togliere di dosso la sabbia, non ci sia nessuno che pianga. Sollevo il miscelatore, e insieme all’acqua scendono anche le mie lacrime.
Piango adesso. Almeno i bambini non mi vedono, che di lacrime mie ne hanno già asciugate abbastanza. Non li sento. Per un attimo è tutto ovattato dal rumore della doccia. Non sento neanche i miei pensieri, quei terribili tiranni che prosciugano le mie energie da troppo tempo.
Se gli altri sapessero quali sono i miei intenti ogni volta che mi sento giù, credo che non mi permetterebbero neanche di tenere la porta del bagno chiusa.
Perché sono tornati questi pensieri? Perché?
Esco dalla doccia. Mentre infilo l’accappatoio sento un tonfo sordo. Mi precipito di corsa in salotto.
È Viola. Ale l’ha spinta di nuovo. Ora lei piange in braccio a me. Ormai non so quando riuscirò a vestirmi e cos’altro succederà quando proverò a farlo.

Il mio nuovo romanzo, Gli altri non sanno, si apre proprio con una finestra sulla mia fragilità, dopo il trasferimento da Messina a Viareggio (per pochi mesi) e, successivamente, a Pisa.
Quando pensavo che tutto si sarebbe sistemato, ho dovuto riprendere la mia vita nuovamente in mano e darle la giusta direzione, come mai prima di allora.
In questo percorso di ricostruzione, la mia esistenza si è intrecciata a quella di altre persone, che dopo aver conosciuto la mia storia, si sono confidate raccontandomi la loro.
Da qui è nato il libro, con l’intenzione di mettere in luce tutto quel dolore che spesso viene taciuto o ignorato anche da chi è più vicino alle persone sofferenti.
Da tanta forza, ho trovato la mia, per capire cosa dovevo rivedere e cosa dovevo tenere.
Vivere è questione di coraggio, perché gli imprevisti, le tragedie mettono a dura prova il materiale umano fatto già di fibre vibranti sotto i vari colpi costanti della vita. Restare è molto più difficile che andare via… Sembra scontato fino a quando non lo vivi.
Queste persone hanno trovato un modo per rimanere là dove il macigno più pesante era crollato. Come non ammirarli?
Spero che Gli altri non sanno sia letto con il cuore spalancato all’inclusione, affinché porti a termine il suo unico scopo: empatizzare con chi soffre e chi ha paura (come me) di chiudere gli occhi poco prima di dormire.

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